Elaborati ricami si intrecciano su preziosi tessuti in seta, in un tripudio di colori, frange, plissettature e ornamenti in argento. Sono farfalle, considerate le madri dei loro antenati, ma anche dragoni benevoli, che proteggono gli allevamenti dei bachi e assicurano le piogge e i raccolti. In occasione delle celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Marco Polo, al Museo d’Arte Orientale di Venezia la cultura tessile e ornamentale dell'Estremo Oriente si mostra in tutta la sua complessità e raffinatezza con l’esposizione “Miao: Costumi e gioielli dalla Cina del Sud”, in programma fino al 28 aprile 2024.
Partendo dalle valli orientali, luogo di scambi commerciali e rotte fluviali, si viene guidati, un abito dopo l’altro, fino alle aree più montuose abitate dalla popolazione Miao, nella Cina del Sud. Una regione che solo nel XVIII secolo entra definitivamente a far parte dell’impero cinese, e che Marco Polo, nel corso dei suoi 17 anni di permanenza alla corte di Kublai Khan, probabilmente non ha mai visitato in prima persona, ma di cui tuttavia riferisce all’interno del Milione, basandosi su fonti scritte.
Con una popolazione attorno ai 9,6 milioni, che risiede principalmente nelle province del Guizhou, dell'Hunan, dello Yunnan, del Sichuan, del Guangxi e dell'Hubei, i Miao sono il quinto in ordine demografico fra i 56 gruppi etnici riconosciuti ufficialmente dalla Repubblica popolare cinese.
Custodi di tradizioni secolari, esprimono al meglio le loro abilità artigiane nella realizzazione di tessuti e ricami, dove applicano tecniche antichissime. Ogni villaggio, ogni clan e ogni famiglia si distingue per colori, stile, tecniche e motivi decorativi: per questa ragione in passato le fonti cinesi suddividevano i sottogruppi Miao secondo il colore dei loro abiti, la lunghezza della gonna o le acconciature. Ad esempio, nel Guizhou orientale sono molto diffuse le gonne "dalle cento pieghe", le giacche aperte sul davanti, spesso calandrate, con ricami o bordure colorati per le grandi feste, sulle quali si indossano argenti appariscenti. Nelle zone montuose del Guizhou occidentale, invece, si usano molto cappe in lana e lino o canapa cucite sulle spalle e sulle maniche degli abiti, mentre nel Guizhou centro-meridionale si privilegiano motivi decorativi astratti e lo stile è sobrio ed elegante.
È attraverso questi motivi decorativi, ma anche il lungo lavoro di raccolta e coltivazione delle materie prime necessarie, e i laboriosi procedimenti di confezionamento dei capi che si svela un sistema di vita alternativo, legato a credenze animistiche e sopravvissuto nel tempo in un fragile equilibrio, oggi costantemente minacciato dall’espansione del turismo.
Grazie al generoso prestito di Franco Passarello, instancabile collezionista di abiti provenienti da tutto il mondo, e della Società Geografica Italiana, che ha inviato alcuni preziosissimi album illustrati che gli imperatori della dinastia Qing (1644-1911) avevano commissionato per conoscere le popolazioni dei territori più lontani dell’impero, al Museo d’Arte Orientale di Venezia vengono quindi messi in mostra al pubblico i tratti salienti di una cultura complessa e multiforme, che nel corso dei secoli ha saputo mantenere con orgoglio la propria identità.